Pianosa, Asinara, Bollate ed infine Milano, passando per Nuoro, Alghero, Piacenza, Brescia e Taranto. Non si tratta di un giro turistico nella nostra penisola, bensì le tappe della lunga esperienza lavorativa nelle carceri italiane di Luigi Pagano. Una esperienza professionale, ma soprattutto umana, che lui stesso, da pochi mesi in pensione, racconta nel libro “Il Direttore. 40 anni di lavoro in carcere” (edito da Zolfo, in uscita il 15 ottobre). Laurea in Giurisprudenza, sposato, due figli, 66 anni, napoletano, Pagano è stato direttore di molti istituti, tra cui San Vittore per oltre 15 anni, poi vice capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria nazionale e, infine, a guidare il Dap della Lombardia. Una carriera che per oltre 40 anni lo ha visto assistere, da un punto di vista particolare – in un certo senso “dietro le sbarre” -, alle più note e spinose vicende giudiziarie italiane. Spenti i riflettori dei grandi processi di Mafia, Brigate Rosse, Tangentopoli è stato lui ad accompagnare la quotidianità “ristretta” di nomi noti della cronaca nera: assiste alla cruenta morte nel carcere di Nuoro di Francis Turatello, boss della mala milanese; incontra il leader della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo all’Asinara; poi incrocia il crac del Banco Ambrosiano a Piacenza dove è detenuto Bruno Tassan Din, prima della lunga stagione di Tangentopoli che affollò il carcere milanese di San Vittore di manager, politici e “colletti bianchi”. “La società civile – ci spiega – tende a rimuovere il carcere dal proprio universo mentale. Purtroppo, però, tanto più il carcere diventa impermeabile rispetto alla vita normale, tanto più è difficile che possa assolvere al meglio la sua funzione di reinserimento sociale delle persone, come sancito dalla riforma del 1975”. E proprio grazie a lui si devono le prime iniziative “aperte” negli istituti penitenziari: dal Costanzo show registrato nel carcere di Brescia, alla visita del cardinal Martini a San Vittore, ad attività culturali e ricreative. “Il carcere dovrebbe essere davvero l’extrema ratio dell’esecuzione penale – puntualizza Pagano -: rieducazione e reinserimento potrebbero essere perseguiti implementando le misure alternative, che costano di meno e rendono di più in termini di abbattimento della recidiva”.
Una convinzione che lo sprona, adesso che è in pensione, nell’attività di consulente del Garante dei detenuti di Regione Lombardia. E anche durante l’emergenza Covid l’attività dell’ufficio del Garante dei detenuti non si è mai fermata. Iniziando dalla convocazione, il 19 marzo scorso, del Tavolo tecnico sulla situazione carceraria, che ha visto riuniti oltre al Difensore regionale, Carlo Lio in qualità di ombudsman delle persone ristrette, i principali esponenti istituzionali del mondo carcerario tra i quali i direttori di istituti carcerari, rappresentanti dei Tribunali di sorveglianza, degli enti del Terzo settore e della Curia. Da allora diverse sono state le visite effettuate nei singoli penitenziari, oltre a 60 video colloqui svolti negli ultimi tre mesi. “Anche nel periodo del lockdown non abbiamo mai smesso di manifestare la vicinanza dell’istituzione, cercando mediazioni durante i momenti di tensione e cogliendo aspetti positivi che venivano promossi dai detenuti – ha dichiarato Carlo Lio -. Inoltre, in accordo con le direzioni penitenziarie, abbiamo agevolato il reperimento di donazioni che con grande generosità ed altruismo venivano offerte de associazioni del Terzo settore per dare risposte alle richieste che provenivano dagli istituti penitenziari”.
Insomma, il carcere appare ancora un mondo duro e sfaccettato. Dove, per dirla con le parole di Giacinto Siciliano, attuale direttore di San Vittore, portare il senso dello Stato è una questione “Di cuore e di coraggio”: come recita il titolo del libro di memorie da lui stesso scritto (Rizzoli, maggio 2020