Referendum, uno strumento di partecipazione diretta dei cittadini

L’appuntamento referendario del 20-21 settembre 2020 è il numero 23 nella storia dell’Italia repubblicana e il quarto di natura costituzionale, dopo quelli del 2001 (Riforma Titolo V della Costituzione, 2006 (Modifica parte seconda della Costituzione), 2016 (Superamento del bicameralismo perfetto). Complessivamente sono stati ben 72 i quesiti su cui i cittadini italiani sono stati chiamati a un voto, di cui 28 non raggiunsero il quorum. Più precisamente, oltre a quelli di natura costituzionale, si conta 1 referendum istituzionale (Repubblica/Monarchia del 2 giugno 1946), 1 consultivo che si tenne il 18 giugno 1989 (sul mandato costituente al Parlamento europeo) e ben 67 referndum abrogativi. Dalla caccia, alle trivellazioni in mare, dalla procreazione assistita all’interruzione di gravidanza, dall’elezione di Camera e Senato alle concessioni radiotelevisive, i temi su cui i cittadini italiani sono stati chiamati ad esprimersi sono davvero tanti e diversi.

Una frequenza e una molteplicità decisamente superiore a quella di molti altri Paesi europei, dove di norma l’iniziativa con cui si ricorre alla consultazione popolare viene dall’alto (Presidente della Repubblica, Parlamento…). In Italia, invece, la modalità è relativamente più semplice, essendo sufficiente raccogliere mezzo milione di firme per indire quesiti abrogativi. E comunque il ricorso al referendum è di fatto innato nella storia italiana, dato che proprio la forma di governo repubblicana venne scelta attraverso un referendum.

E tuttavia anche la recente storia europea ci ricorda l’importanza del consenso popolare, come nel caso della Brexit (del 23 giugno 2016, in cui i cittadini britannici furono chiamati a scegliere tra Leave/Remain) e il contestato referendum per l’autonomia della Catalogna (1°ottobre 2017).

Un posto a parte è riservato dalla Costituzione alle consultazioni popolari promosse dai Consigli regionali (almeno 5), su leggi dello Stato. Nella storia della Repubblica italiana, il primo referendum abrogativo di questo tipo si è tenuto il 17 aprile 2016 riguardo la durata delle concessioni per l'estrazione di idrocarburi in zone di mare, che però non raggiunse il quorum.

Fu poi la volta del referendum abrogativo ai sensi dell’art. 75 Cost. promosso a dal Consiglio regionale della Lombardia, insieme a Veneto, Sardegna, Friuli Venezia-Giulia, Piemonte, Abruzzo, Liguria e Basilicata per l’abolizione della quota proporzionale del vigente sistema elettorale (introdotto dalla legge n. 165 del 2017), il c.d. Rosatellum. La consultazione, però, non ebbe luogo in quanto la Cassazione ritenne il quesito inammissibile.

La stessa vita democratica regionale prevede il ricorso alla consultazione popolare, secondo quanto stabilito dall’art. 123 della Costituzione, per l'approvazione e le modifiche dello Statuto, la carta fondamentale della Regione. La consultazione si tiene se entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne fa richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo Statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.

Per quanto riguarda la nostra regione, lo Statuto d’autonomia della Lombardia in vigore dal 2008 prevede tre tipi di referendum regionali: abrogativo, consultivo e territoriale.

Il 22 ottobre 2017 venne indetto il referendum consultivo sull’autonomia che vide, sugli oltre 3 milioni votanti (pari al 38,34% degli aventi diritto), una schiacciante prevalenza di “SI' (il 95,29%).

Insomma, a tutti i livelli il referendum rappresenta, insieme alla petizione (Art.50 Cost.) e al disegno di legge di iniziativa popolare, uno degli strumenti con i quali è garantita la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica del Paese. Una modalità che la Carta costituzionale (ex art. 3 Cost.), riconosce quale diritto inviolabile.