Cartoline dantesche/10: Tra selve e misteri

Decima cartolina dantesca. Il mittente è Dante Alighieri. Questo il messaggio: “Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura/,ché la diritta via era smarrita. (If I 1-3) 

 

E’ sicuramente uno dei passi più noti della Divina Commedia, il suo inizio in una “selva oscura”. In realtà, nell’opera dantesca si trovano altre due selve simboliche, meno conosciute ma non meno significative: quella “mesta” dei suicidi, fitta sterpaglia del tutto impenetrabile che allude alla natura stravolta di chi sceglie la morte anziché la vita (If XIII 97, 107, 117 e 124, XIV 10 e 77, XV 13) e la divina foresta dell'Eden, paesagio che evoca la primitiva innocenza e felicità dell'uomo (Pg XXVIII 23 e 108, XXXII 31 e 158). 

Diversi sono anche gli aggettivi che accompagnano il termine: “oscura” e “fonda” (If I 2 e XX 129), eco virgiliana, oppure “selvaggia” (If I 5), “aspra e forte” (Pg II 65), o “amara” (If I 7) perché Dante personaggio rischiò di morirvi. 

La selva dei suicidi è accompagnata da richiami all'orrore della situazione dei dannati, le cui anime sono imprigionate negli alberi, e ritorna sette volte. La selva è detta, ovviamente, "mesta) (XIII, 107 per la mesta/selva saranno inostri corpi appesi) e quindi "dolorosa". 

La selva dell'Eden è invece una divina foresta “spessa” (XXVIII 2) e “folta” (XXVIII 108). 

La selva dell’incipit è, invece, il luogo in cui il personaggio Dante si smarrisce e di cui si specifica solo il riferimento temporale – “a mezzo del cammin di nostra vita”-, che per consuetudine, sulla base dell’aspettativa di vita media ai tempi di Dante si fa coincidere con il raggiungimento dei 35 anni. Circostanza che fa cadere la data con l’anno 1300: anno del primo giubileo cristiano e per Firenze culmine delle tensioni e delle discordie, che videro Dante ottenere il priorato (15 giugno-15 agosto) per poi iniziare la seconda fase della sua vita, quella dell'esilio. 

Nulla, tuttavia si conosce del luogo fisico che ispirò l’autore. Dante non fornisce, infatti, alcun dato topografico a precisare dove geograficamente si trovi la selva che gli ispirò l'ingresso dell'Inferno 

Tuttavia l’indeterminatezza geografica ha scatenato da sempre la congetture più fantasiose. Chi lo identifica con Gerusalemme, chi con Cuma. Provando a immaginare luoghi aspri e selvaggi entro i confini della Lombardia, l’allusione alla “selva” trova suggestioni affascinanti. Ad iniziare, per esempio, dalla quantità di alberi monumentali, di cui è ricca la Lombardia. La regione, infatti, vanta numerosi boschi: si contano ben 194 tipi di foresta, raggruppati in 16 categorie forestali (faggeti, castagneti, querceti, lariceti, robineti, aceri-frassineti…). Secondo il più recente censimento eseguito dal Mipaaf (il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo), le piante con carattere di monumentalità in Lombardia sono 188. 

Legato alla selva, il fascino e il mistero di creature fantastiche, come ad esempio il bresciano “Diaol” o “Mostasù”, cioè faccione. Inoltrandosi nel folto del bosco sulla collina dove sorge il monastero francescano di San Pietro in Colle (XI sec.) a Rezzatonascosto tra gli alberi secolari, si può ammirare un grande masso con un bassorilievo inquietante: “la faccia del diavolo”, un volto metà umano e metà bestiale custodisce l’antico luogo. Sul faccione circolano tante leggende: tra il fauno e il satiro, Mostasù, può essere accostato al Green Man, il celtico spirito-guardiano dei boschi, conosciuto anche come Pan, antichissimo dio della vegetazione e della fertilità.  A questo filone appartiene anche l’Uomo dei boschi di S. Brigida (Valle Averara, BG), chiamato anche Homo Selvadego. Nel presbiterio del locale santuario della Beata Vergine Addolorata si trova un affresco con una scena di Cristo che sorge dal sepolcro, San Lorenzo e, alla sua destra, un individuo vestito di pelle e pelo, un uomo primitivo o selvaggio, identificato come S. Onofrio, la cui memoria si perde nel deserto della Tebaide (Egitto). La figura dell'Uomo selvaggio non è un'invenzione o una prerogativa cristiana ma appartiene alla sfera del mito, dell'allegoria. Nei paesi di montagna, la figura di un uomo selvaggio è molto frequente e ben conosciuta, anche se sotto nomi diversi: Salvanèl, Om Pelòs, Salvàn, Sambinello, Om Selvadech, Òm da l bòsch. Tutti appellativi ricollegabili ad una figura mitica legata al mondo agreste, simile alla divinità romana di Silvano. Così non ci deve sorprendere che all'esterno della cosiddetta Casa di Arlecchino a San Giovanni Bianco (BG), si trovi proprio una sua effige. Non a caso lo stesso Arlecchino è associato in origine al “conduttore della Caccia Selvaggia". 

 A questa figura mitologica, a volte buona altre volte malvagia, che nelle valli montane è associata all’abilità casearia è dedicato a Sacco (nella bassa Valtellina), un museo https://www.ecomuseovalgerola.it/museo-dellhomo-salvadego/ 

"Questo personaggio - si legge in una nota Comunità Montana di Morbegno - non è solo un fenomeno locale, ma si può affermare che sia un vero e proprio simbolo della cultura contadina alpina. Le profonde radici nella cultura popolare di questo strano essere trovano conferma anche nella scelta di una delle Tre Leghe Grigie, – alle quali la Valtellina fu soggetta tra il 1512 e il 1797 – quella delle Dieci Giurisdizioni, di porre l'uomo selvatico nel proprio stemma". 
Legami forti, dunque, tra natura e uomo, tra spiritualità e quotidianità nelle vallate alpine dove, come nel poema dantesco il bosco, l'incolto è associato ai sentieri pericolosi, all'alta montagna, agli elementi naturali che sfuggono al controllo dell'uomo. 

Tornando, invece, alla selva come luogo di entrata nel mondo ultraterreno dei dannati, non si può non ricordare a Savogno (SO) il "Sas de l'Anticrist", una parete che sembra una porta richiusa sul mondo degli inferi.  Secondo una antica leggenda, sul paese ci sarebbe una maledizione fatta dal diavolo in persona. Il diavolo, per rivendicare tale maleficio, ha impresso la propria impronta su una roccia. Un richiamo forte quello all’Anticristo nelle valli alpine e che trova un’ulteriore testimonianza nella chiesa di san Giorgio a Varenna, dove sulla controfacciata si nota una scena dell’Inferno con un mastodontico Belzebù che divora le anime dei dannati, in pieno gusto gotico. Dedicato alla vita ultraterrena anche il ciclo di affreschi dell’Oratorio dei Disciplini di Clusone (BG) con la famosa Danza macabra, sintesi, unica in Europa, dei temi della Morte alla fine del Medioevo. 

Rimanendo poi nella sfera del magico, vale la pena curiosare nel Sentiero Spirito del Bosco di Canzo (CO) e nel bosco di Quercus a Bienno (BS). Si tratta di percorsi tematici creati ad hoc, dove si possono ammirare gli “spiriti del bosco”, sculture in legno che richiamano gli aspetti magici della foresta. Perché perdersi, anche solo metaforicamente, può essere un’opportunità per ritrovarsi.