Posto che vai salame che trovi. A Crema lo fanno “Nobile”

Storia e curiosità del prodotto made in Lombardy. Il programma della Festa presentato oggi a Palazzo Pirelli

Festa Salame Nobile Cremasco

Genuino. Artigianale. Di nicchia. In una parola: Nobile. E’ il Salame Nobile Cremasco cui è dedicata la festa che si terrà a Crema sabato 20 e domenica 21 aprile, con il patrocinio del Consiglio regionale della Lombardia, (di cui abbiamo parlato qui). Il programma della manifestazione con convegni, visite guidate alla città, musica e assaggi degli altri prodotti tipici della zona (Spongada e Tortello dolce)  è stato lanciato oggi a Palazzo Pirelli, alla presenza delle autorità locali, di esponenti regionalI e del Comitato promotore.
Ma da dove nasce il prodotto suino per eccellenza che attraversa, con mille varianti, le tavole di tutto lo Stivale, isole comprese? Il salame è uno dei prodotti più antichi che esistano. Già diffuso nell’antichità si è ulteriormente sviluppato nel Medioevo dove è attestata per la prima volta la denominazione “salacca” (saracca) o “salamem”, per indicare un alimento salato e insaccato, prodotto con le carni di scarto residuate da altri salumi o prodotti più pregiati. Perché, come dicevano i nostri nonni “del maiale non si butta via niente

Già sotto la dominazione Longobarda, che dal Nord Italia si estese poi ad alcune zone del Centro e Sud Italia, incominciano ad apparire i piccoli salamini: durante le loro migrazioni, infatti, le popolazioni barbariche avevano la necessità di consumare cibi altamente conservabili, in particolare a base di carne suina. Insediatisi nel territorio lombardo, si attesta una produzione salumiera: dal XIII-XIV secolo risalgono le prime testimonianze della produzione del salame in Brianza, sotto la spinta dei monasteri e dei conventi monastici. D’altra parte, è proprio in questa regione che nasce, intorno al ‘500, la moderna parola “salame“.

Se quindi il copyright del prodotto è made in Lombardy, la nostra regione vanta attualmente prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento della Commissione europea: si tratta, nello specifico del Salame di Varzi DOP (PV), Salame di Cremona IGP, Salame di Mantova DOP e il Salame di Brianza DOP. Mancano dall’elenco, il Salame di Milano, legato a una nota produzione industriale e il Salame Nobile di Crema per cui è in corso l’istruttoria per il riconoscimento DECO, Denominazione Comunale. Molto ristretta è, infatti, la zona di produzione, che vede solo una decina di piccole imprese dei Comuni della prima cerchia cremasca (da Pianengo a Ripalta e Madignano, passando per Casaletto Vaprio, Pianengo e Romanengo). Ma è quasi impossibile arrivare ad un elenco completo dei salami, in quanto ogni località ha la sua ricetta tradizionale, tramandata di generazione in generazione.

Ma dove sta la “nobiltà” in tale insaccato? Il nome fa riferimento alla ricetta che vede usare solo le parti nobili, ovvero di miglior qualità da un punto di vista organolettico, del maiale (lonza e prosciutto) e non le cotenne. Si tratta, quindi, di un prodotto che vanta una consistenza più omogenea e non richiede per la stagionatura e la conservazione di aglio o pepe, in quanto non presenta tracce ematiche, ma è “insulino puro”.

Attorno alla produzione del salame ruotava l’intera vita delle corti contadine: dalla cura per l’allevamento di maiali “felici”, ovvero ben nutriti rigorosamente con scarti di cibo e il liquido derivante dalla ricotta, alla selezione e macellazione che, ritualmente, doveva essere compiuto prima dell’11 di novembre, festa di San Martino, in cui i contadini traslocavano da una cascina ad un’altra se non gli veniva rinnovato il contratto. Un’operazione che coinvolgeva tutti, dal norcino che seguiva tutta la crescita dell’animale, alle donne per la preparazione di acqua alla giusta temperatura” e aceto. Persino i bambini, avevano un loro ruolo che li vedeva, fino all’età scolare, allontanati con la scusa di andare in drogheria, “all’ombra del campanile”. La loro presenza in cascina delimitava l’accesso all’età adulta.
Molto importante era la conservazione di un buon prodotto, che per i contadini rappresentava un’assicurazione di sostentamento contro i rigori dell’inverno, una merce che veniva donata con orgoglio ai notabili della zona.

L’animale doveva essere allevato per “due lune d’agosto” ed essere circa sui 150-200 kg. Dopo la prima “stufatura”, che durava circa 3-4 giorni dalla macellazione, veniva riposto in luogo fresco (attorno ai 4° C) per circa 7 mesi, quando veniva presentato alla sagra d’estate.

Sano, popolare, sostentamento ed orgoglio delle famiglie è ancora oggi uno degli alimenti più amati, attorno cui si stringono amici e concittadini.