Per l’Unione Europea il 2012 era l’“Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni”. L’obiettivo era duplice: da un lato incoraggiare e sollecitare gli amministratori pubblici ad intraprendere azioni per migliorare la possibilità di invecchiare restando “attivi”; dall’altro, potenziare la solidarietà tra generazioni. Contemporaneamente si doveva sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della valorizzazione delle persone “nell’arco di tutta la vita” perché “risorse per la società”.
Da questi presupposti è nata, per iniziativa dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, la ricerca Eupolis Lombardia “L’invecchiamento attivo come politica di welfare”, presentata oggi a Palazzo Pirelli.
Plaudendo all'iniziativa in quanto il tema permette di "approfondire i contenuti e i temi su cui siamo chiamati a deliberare – ha detto il presidente Raffaele Cattaneo introducendo i lavori – Abbiamo il dovere di conoscere a fondo i fenomeni su cui siamo chiamati a intervenire I dati presentati – ha affermato Cattaneo -. fanno riflettere: a partire dall'innalzamento dell'aspettativa di vita che, come è evidente, dipende anche dalla qualità del nostro sistema sanitario. Il modello di riferimento non è cambiato ed è necessario proseguire sulla strada dei principi guida che fanno parte anche del nostro Statuto: la centralità della persona, la sussidiarietà, la libertà di scelta, nella direzione di quella che nei Paesi anglosassoni è chiamata 'big society'".
La sessione ha visto gli interventi del prof. Alessandro Rosina dell’Università Cattolica di Milano (che ha parlato di “Più longevi ma non più sani”), della prof.ssa Anna Ponzellini di “Apotema” (intervenuta sul tema “Prolungare la vita lavorativa. Problemi e politiche”) e con le testimonianze di rappresentanti di AUSER Milano e Associazione Nestore.
Per il presidente della Commissione consiliare Sanità, Fabio Rizzi, “l’anziano va sempre più considerato una risorsa per la società e non un peso, e a confermarcelo con dati e riscontri concreti lo è anche la ricerca presentata oggi: dobbiamo quindi sviluppare politiche nuove – ha aggiunto – che nel considerare la sfera dell’anziano non tengano più conto solo dell’aspetto sanitario e assistenziale, ma anche di possibilità e opportunità che guardino all’anziano come soggetto attivo. Per gli anziani malati e che necessitano di cura sanitarie particolari, invece – ha concluso Rizzi – occorre promuovere maggiori strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia affinchè l’anziano possa restare il più lungo possibile a carico e in contatto diretto con il proprio ambito familiare”.
La vicepresidente del Consiglio regionale. Sara Valmaggi, concludendo i lavori, ha rimarcato che ““il convegno di oggi ha fatto emergere la necessità da parte del legislatore di politiche urgenti e concrete per promuovere e agevolare l’utilizzo di risorse preziose per la società come lo sono a tutti gli effetti coloro che, pur in età pensionabile, hanno ancora le caratteristiche per svolgere una vita attiva. Dobbiamo però conciliare questo aspetto – ha sottolineato la vicepresidente Valmaggi – con quello della cura e dell’assistenza delle persone non autosufficienti, i cosiddetti grandi anziani, consapevoli che l’aumento della prospettiva di vita comporta di conseguenza anche maggiori attenzioni sia come durata temporale delle prestazioni assistenziali che come diversificazione della tipologia di cura”.
Ai lavori del seminario ha portato i suoi saluti anche l’assessore alla Sanità, Mario Mantovani, che si è soffermato principalmente sulla necessità di “scelte culturali” per affrontare in maniera concerta una realtà sempre più presente nella società lombarda.
E’ intervenuto anche il Segretario della Commissione Sanità, Marco Carra, che ha sottolineato come “l’invecchiamento attivo sia una straordinaria opportunità per il volontariato e per la coesione sociale delle nostre comunità, che è garantita da un’azione gratuita e volontaria”.
La ricerca
Di fronte al progressivo invecchiamento della popolazione in Europa e in Italia, causato da un forte declino della natalità e da un concomitante aumento della speranza di vita, il tema degli “anziani attivi” ha assunto un’importanza crescente in diversi ambiti: lavorativo, previdenziale, sanitario, sociale, economico.
“Invecchiamento attivo”, riporta la ricerca Eupolis, significa invecchiare in buona salute, partecipare appieno alla vita della collettività e sentirsi più realizzati nel lavoro. In poche parole vuol dire essere più autonomi nel quotidiano e più impegnati nella società.
Nella graduatoria delle macroregioni europee, la popolazione complessiva della Lombardia si colloca al quinto posto, preceduta soltanto da Renania Westfalia, Baviera, Ile de France e Baden Wurttennberg.
Circa un quinto (2.041.000 nel 2012) ha più di 65 anni e dal 1985 sono cresciuti in media di 35 mila unità all’anno (più 90% nel complesso). Il 45% (più 336 mila) ha un’età compresa tra i 65 e i 74 anni e si stima che nei prossimi trent’anni aumenteranno di circa 1,4 milioni di unità (più 68% nel periodo 2012-2041). Le donne sono nel complesso più degli uomini (poco più di 300.000 unità) ma la loro crescita relativa è stimata attorno al 57%). Nel 2041 si prevede che gli over 65 lombardi residenti saranno circa 550 mila in più, 292 mila con un’età compresa tra i 65 e i 69 anni, il resto tra i 70 e i 74 anni d’età.
La ricerca stima che nel 2040 un maschio 65enne avrebbe mediamente un’aspettativa di vita di altri 22,2 anni, la donna 26 anni.
Nel 2011 gli over 65 che vivevano in coppia (senza figli) erano il 44,9% mentre viveva da solo il 28,1%. Tra gli ultra ottantenni il 55,2% viveva da solo, il 23,2% in coppia senza figli. Dato curioso, essi stessi hanno risposto che in fatto di salute stavano “né bene né male” il 49,7%, “bene o molto bene” il 36,8% e solo il 13,5% “male o molto male”. Simile la classifica per gli ultraottantenni anche se con percentuali un po’ modificate: “né bene né male” il 55,7%, “bene o molto bene” il 23%, “male o molto male” il 22,3%.
Sempre considerando le persone con più di 80 anni, si stima che in Lombardia passeranno dal mezzo milione di oggi ad oltre 1,5 milioni nel 2050.
Conclusioni
Davanti a questi dati, a partire da ora una vita lavorativa lunga sarà un elemento costante delle “biografie individuali”, sostiene la ricerca Eupols.
Ciò comporterà necessariamente un adattamento della cultura di tutta la società per promuovere progetti personali di vita con un orizzonte lavorativo più ampio e più articolato, auspicando – è stato sottolineato più volte – anche un sistema lavorativo più flessibile in fatto di orari e di tempi.
Una vita lavorativa più lunga comporterà anche una nuova idea di welfare che superi la “vecchia” tripartizione del ciclo di vita “studio-lavoro-pensione” per considerare invece inevitabile la sovrapposizione e l’alternanza di “formazione/lavoro” e di “lavoro/cura”.
Sarà compito delle politiche delle amministrazioni pubbliche – suggerisce Eupolis – traghettare le loro società verso questo cambiamento.
In particolare potrebbe essere compito delle Regioni farsi carico di promuovere campagne di sensibilizzazione; dare supporto a progetti di vita lavorativa di “anziani attivi” con politiche come aggiornamenti continui, mobilità verso altre mansioni o altre professioni; trovare forme parziali di integrazione al reddito per i periodi di congedo dal lavoro per cure, studio, riposo o cambiamento di lavoro.
Soprattutto intensificare le politiche per la conciliazione attraverso servizi e aiuti che abbiano “come target la coppia grande-anziano-non autosufficiente/lavoratrice ultra 55enne”.